FABIO GIRELLI-CARASI

City University of New York Brooklyn College, New York

 

 

LA VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE ORALI DELL’ITALIANO COME LINGUA STRANIERA

Grammatica o conversazione? Questo e’ il dilemma Insegnare “le regole” o insegnare “la lingua”? Su questo terreno, armati di teorie e ipotesi piu’ o meno comprovate, da tempo si scontrano i fautori di quelli che vengono sommariamente chiamati i “metodi” dell’insegnamento delle lingue straniere in tutto il mondo. Passano gli anni, cambia la terminologia, avanzano gli studi ma la questione e’ sempre li’, piu’ o meno allo stesso punto dove si trovava gia’ secoli fa. Basta dare un’occhiata all’introduzione di due famose grammatiche di francese per anglofoni. Nel 1576, nel suo The French Littelton: A Most Easie, Perfect and Absolute Way to Learne the French Tongue, Claude de Sainliens afferma: Se il lettore e’ intenzionato a imparare la nostra lingua in breve tempo, non deve ingarbugliarsi al primo approccio nelle regole della pronuncia presentate (di proposito) alla fine di questo libro. Piuttosto [deve] prendere in mano questi DIALOGHI e quando la situazione lo richieda, esaminare le regole ed applcarle secondo i suoi bisogni.

Accanto all’inattesa “modernita’” di questo metodo, troviamo pero’ anche la difesa della tradizione dei grammatici, espressa nella prefazione del libro French Method del 1588, ad opera di Jacques Bellot, nella quale risaltano chiaramente i termini della polemica: Vi sono alcuni che sostengono che il modo piu’ efficace e sicuro di conseguire la conoscenza delle lingue e’ di impararla senza osservarne le regole: al contrario io penso che colui cui viene insegnata qualsiasi lingua solo attraverso la memorizzazione, e’ come un uccello in gabbia (se non peggio) perche’ non capisce quello che dice ed e’ privo dei fondamenti di una solida e sicura dottrina…

Ciascuna disciplina scientifica o filosofica ha alla sua base una domanda fondamentale cui tenta di rispondere. Per la glottodidattica la domanda e’: “Come si deve insegnare una lingua straniera”? A monte ci sarebbe naturalmente anche un’altra domanda, e precisamente: “Che cosa insegnare”, cioe’ quale lingua? La lingua dei media, delle tradizioni popolari, dell’alta cultura, delle regioni…? Tema da titanico scontro ideologico, come si puo’ ben vedere, e che, per questo motivo, in questa sede sara’ opportuno evitare. Torniamo allora alla domanda “Come si deve insegnare”?

Empiristi contro Razionalisti

Ma anche in questo caso, la questione dovrebbere discendere da una precedente, e precisamente: “Come si impara una lingua straniera?” Quali sono cioe’ i meccanismi dell’apprendimento e dell’acquisizione? Essi dipendono dal metodo adottato o sono precedenti al metodo stesso? Ed anche qui assistiamo allo stesso scontro tra due diversi modi di pensare, uno scontro che riflette il pensiero di due scuole di psicologia: da una parte gli “innatisti” alla Konrad Lorenz, dall’altra i “behavioristi” o “comportamentisti” che si ritrovano nelle teorie di B.F. Skinner. In campo linguistico lo scontro avviene tra gli Empiristi con portabandiera Chomsky da una parte e i Razionalisti rappresentati da Bloomfield dall’altra. Ciascuna delle due scuole ha i suoi scheletri nell’armadio, nel senso che nel corso dei decenni hanno dato vita a tutta una serie di ipotesi trasformate in metodi piu’ o meno fallimentari. Senza attribuirle all’una o all’altra (il lettore dovrebbe riuscire da solo a collocarle nella colonna giusta) ecco l’elenco minimo di alcune delle “mode metodologiche” che si sono contese le luci della ribalta: metodo traduzione-grammaticale, audiolingua, metodo diretto, risposta fisica totale, suggestopedia.. Insegnare per la comunicazione La metodologia che si e’ venuta imponendo negli ultimi quindici anni e’ costituita da un insieme di tecniche e di approcci definiti in modo molto rilassato “approccio funzionale-comunicativo”, di chiara ispirazione empirista. Una delle attrattive di questo metodo e’ di costituire un campo fertilissimo per la ricerca linguistica, come dimostrato dalle centinaia e centinaia di pubblicazioni che ogni anno vedono la luce con un continuo aggiornamento dei dati disponibili. Parte integrante se non addiritura colonna portante del sistema, e’ la Oral Proficiency Interview, una procedura di valutazione delle competenze orali che ha al suo centro una specifica descrizione strutturale della lingua basata a sua volta su di un’intuizione teorica elaborata da Noam Chomsky nel 1965. Chomsky fu il primo a definire la distinzione tra Competence e Performance, che tradurremo con inevitabile imprecisione “competenza” e “prestazione”. Per “competenza” si intende cio’ che una persona sa della lingua, per “prestazione” cio’ che sa fare con la lingua (double entendre esclusi). Per Chomsky la distinzione si riferiva soprattutto alla sfera grammaticale, ma, ripresa ed ampliata, essa ha fornito la base di partenza di un impianto teorico per l’elaborazione di un intero costrutto didattico. Anche dopo piu’ di 30 anni dalla sua coniazione, la distinzione tra “competenza” e “prestazione”, applicata a diversi ambiti della produzione linguistica, rimane la stella fissa del firmamento empirista. Per capire l’enormita’ della portata di questa distinzione suggerirei un semplice esperimento: si provi a chiedere ai propri studenti che cosa significa per loro “sapere una lingua”. Risposte probabili: “parlare con la gente, ascoltare le canzoni, vedere film in lingua originale, corrispondere con i coetanei, parlare con la nonna o con i parenti rimasti in patria (nelle comunita’ immigrate), chattare su Internet….” Si provi poi ad interrogare se stessi (insegnanti) o altri colleghi su che cosa significa che i nostri studenti “sappiano” la lingua. Risposte prevedibili: coniugazione dei verbi, concordanze, uso dell’imperfetto, differenza imperfetto-passato prossimo, congiuntivo, passato remoto, ipotetiche dell’irrealta’, sistema pronominale…. (Purtroppo, molto spesso, anche gli studenti stessi, condizionati da anni di corsi “formativi” non riescono a distinguere le differenze, al punto che all’inizio di un corso raramente si chiedono “che cosa sapro’ fare alla fine”, accontendandosi di un “che cosa saprò?”). E’ ovvio che il dibattito diventa allora non una questione di metodi, ma di obbiettivi. E qui ci si impone di tornare alla distinzione tra competenza e prestazione. COMPETENZA Che cosa so? Esigenze formative per traguardi PRESTAZIONE Che cosa so fare? Esigenze funzionali per ‘compiti’ (task) La realizzazione di un curricolo comunicativo è di per se’ gia’ estremamente ardua, ma lo è ancora di piu’ in una realta’ come la scuola italiana che ha inscritto nel proprio DNA l’orientamento formativo e in genere giudica l’insegnamento per obbiettivi strumentale-funzionali come una sottospecie didattica da relegare nelle scuole tecniche e professionali. Cio’ vale ancor di piu’ per l’insegnamento delle lingue, come riferisce chiaramente Paolo Balboni a pagina 19 del suo “Didattica dell’italiano a stranieri” . Per aggirare il problema “ideologico” vale la pena affrontare direttamente la questione di come costruire un curriculo che non risponda alla domanda “come si deve insegnare” ma che si orienti immediatamente sugli obbiettivi da ottenere. Il paradosso didattico Per raggiungere tali obbiettivi e’ necessario comprendere che l’insegnamento, tutto l’insegnamento, si basa su di un paradosso, e cioe’ che il curriculum e’ secondario rispetto alla valutazione. In altre parole, noi insegnanti non esaminiamo quello che insegniamo, ma insegniamo quello che esaminiamo. Ovvero, e’ l’esame che determina il curriculum. Se andiamo ad esaminare gli esami (bisticcio voluto), ed in particolare quelli di lingua, troveremo che appartengono nella stragrande maggioranza alla categoria dei test di conseguimento, cioe’ i tipi di test che valutano per traguardi discreti in funzione di esigenze formative. Per capire in che cosa consista un test di conseguimento facciamo un’analogia sportiva e pensiamo alla specialita’ del salto in alto. L’obbiettivo e’ predeterminato da altri. Per l’atleta l’unica cosa che conta e’ superare l’asticella. Se non vi riesce, anche solo di un millimetro, il suo sforzo non ha alcun valore. A scuola cio’ si traduce nel classico “o lo sai o non lo sai”. Uno studente puo’ sapere milioni di altre cose, ma se non conosce la risposta precisa a quella domanda, tutto il resto non conta. Per valutare cio’ che uno sa fare, non solo cio’ che uno sa, sono necessari altri tipi di strumenti. L’alternativa all’ achievement test e’ il test di competenza, un test olistico, per compiti (task). Per rifarci all’esempio precedente, questo e’ come il salto in lungo, in cui non esiste un obbiettivo prestabilito e nel quale ogni centimetro conta a favore dell’atleta. Se osserviamo attentamente i nostri esami di lingua, scopriremo prima di tutto che si tratta quasi esclusivamente di test di conseguimento, poi, se scendiamo nel dettaglio, constateremo inoltre (con orrore, spero) che l’unica cosa che essi valutano e’ l’accuratezza, cioe’ la correttezza ortografica, morfologica, sintattica, fonologica e persino metalinguistica. Le conseguenze sono presto dette: per quanto il docente insista che lo studente impari a “parlare” la lingua, in realta’ in modo conscio o inconscio, comunichera’ un unico messaggio: cio’ che conta e’ la grammatica, la memorizzazione di regole, non il contenuto dell’espressione perche’ alla fine il voto dipendera’ da solo da quella. Cio’ che conta, in sostanza, e’ quello che sai, non quello che sai fare. DESCRIZIONE STRUTTURALE DELLA LINGUA Competenze orali (Oral Proficiency) L’influenza del nuovo approccio comunicativo si e’ fatta sentire dapprima nel campo dell’insegnamento dell’inglese come lingua straniera nei Paesi anglosassoni. Chi studia inglese, in ogni angolo del mondo, in genere ha obbiettivi concreti e di carriera e vede la lingua come strumento pragmatico e di comunicazione, anzi addirittura come strumento di lavoro. Da qui la pressione sulle istituzioni pubbliche e private perche’ sviluppassero curricoli adeguati agli “obbiettivi” pragmatici e comunicativi per rispondere alla domanda degli studenti. Da queste ed altre simili osservazioni, attorno alla meta’ degli anni dagli Stati Uniti e’ partito un movimento di docenti e ricercatori il cui obbiettivo era la realizzazione di un test delle competenze orali proprio per fornire all’insegnante uno strumento alternativo di valutazione che lo affrancasse dalla schiavitu’ del “conseguimento”. Il movimento comunicativo si e’ lentamente consolidato attorno ad un progetto, la Oral Proficiency Interview (OPI) traducibile con “Colloquio di competenza orale”, gestito da una libera associazione di docenti, l’ American Council on the Teaching of Foreign Languages (ACTFL). Alla base c’era l’intuizione che, in assenza di un adeguato strumento di valutazione, non esisteva alcuna speranza di modificare i curricoli in chiave orale e comunicativa. Il test e’ diventato ormai un classico nel mondo dell’inglese L2 ed ha portato come conseguenza una rivoluzione nei curriculi. La rapidita’ nella formulazione e nell’adozione ed il successo di questi curriculi e’ dipeso in gran parte anche dal fatto che l’inglese e’ una lingua a bassa densita’ morfologica, il che contribuisce alla sua “insegnabilità” in chiave funzionale. Come si configura un “Colloquio di competenza orale”? Le ricerche si sono materializzate in un sistema di valutazione strettamente legato ad una descrizione strutturale e cognitiva della performance linguistica. La definizione viene dall’ OPI Training Manual dichiara: La Oral Proficiency Interview di ACTFL e’ una procedura standardizzata per la valutazione globale dell’abilita’ orale funzionale, o oral proficiency. Si tratta di uno strumento standardizzato in quanto, per assicurare affidabilita’ nella valutazione di diversi campioni di discorso, prescrive il rispetto di una determinata procedura. Stabilito il criterio di procedura, e’ ora importante conoscere quali aspetti del materiale linguistico prodotto vengono presi in considerazione in fase di valutazione. I caposaldi, i cosiddetti “criteri” sono riportati nel Manuale ACTFL come segue: La Oral Proficiency Interview e’ un test integrativo in quanto affronta simultaneamente una serie di abilita’ e le osserva da una prospettiva globale anziche’ dal punto di vista della presenza o assenza di una data caratteristica linguistica. Le componenti linguistiche sono viste dalla prospettiva del loro contributo alla performance orale complessiva. Nella valutazione di un campione di discorso, si seguono i seguenti criteri: le funzioni o compiti globali espletati dal parlante; i contesti sociali e specifici argomenti nei quali il parlante e’ in grado di espletare le funzioni; l’accuratezza o precisione con cui i compiti vengono svolti; il tipo di testo orale o discorso prodotto dal parlante. Aspetti e criteri Le componenti linguistiche (“feature”) osservate sono pertanto: funzioni, contesto, accuratezza e testo (discorso). Un discorso a parte merita il criterio di “contenuto”, inteso in un’accezione semantica specifica al test stesso. Iniziamo prendendo in osservazione la rappresentazione grafica dei vari livelli di competenza linguistica definibili ed osservabili attraverso la procedura di testing, unitamente alla “quantita’” di lingua prodotta. (L’immagine e’ tratta dal Manuale ACTFL citato in precedenza).

L’ampiezza del cono rappresenta la “quantita’” di materiale linguistico, in termini di lemmi e altri elementi soprasegmentali, quali intonazione, registro, e strategie discorsive. Per dare un esempio concreto, la quantita’ di materiale linguistico prodotto al livello elementare non supera le 200 parole, frasi fatte e formule memorizzate. A ciascuno livello (ELEMENTARE, INTERMEDIO, AVANZATO e SUPERIORE) corrispondono abilita’ linguistiche e di disbrigo di compiti specifici secondo i criteri e le categorie linguistiche riportate in precedenza e cioe’: FUNZIONE, CONTESTO, ACCURATEZZA, TESTO. Contrariamente alla seguenza stabilita da ACTFL, ricerche ed esperienze personali mi hanno portato a riorganizzare i quattro criteri in un diverso ordine che ne riflette la relativa posizione gerarchica. La sequenza che suggerisco e’ pertanto la seguente: TESTO, CONTESTO, FUNZIONE, ACCURATEZZA. Di seguito riporto le definizioni dei vari termini che servono da guida nell’osservazione della performance linguistica e quindi nella valutazione. (Nell’allegato A la tavola riassuntiva elaborata da ACTFL. con descrizioni piu’ estese). TESTO o DISCORSO Elemetare Intermedio Avanzato Superiore “ ma come parli bene ! !” parola (isolata, frasi memorizzate, formule, spezzoni, rimasugli) frase (frase discreta SVO(+FP); paratassi) paragrafo (ipotassi, riferimenti temporali espliciti, premesse/conclusioni) discorso integrato CONTESTO Elementare Intermedio Avanzato Superiore cio’ che la lingua copre (sottintesi esclusi) realta’ sensoriale oggettiva realta’ esperienziale soggettiva immediata realta’ esperienziale integrata temporalizzata realta’ psicologica FUNZIONE Elementare Intermedio Avanzato Superiore quello che si puo’ fare con la lingua (sottintesi esclusi) nominare-indicare (elenchi, materiale memorizzato, ripetizione) descrivere (descrizioni, chiedere-domandare, interagire su numero limitato di argomenti noti, minima autonomia) narrare (interagire su argomenti noti ed alcuni non familiari in varie dimensioni temporali, autonomia linguistica) ipotesi (pensiero astratto, opinioni, strategia comunicativa, registro sociale, negoziato) ACCURATEZZA Elementare Intermedio Avanzato Superiore grado di intellegibilita’ Ho lasciato volutamente e provocatoriamente vuoto lo specchietto dell’accuratezza in quanto ritengo sia assolutamente impossibile, per qualsiasi lingua, determinare il grado di precisione fonologica, morfologica, sociale e psicologica corrispondente ad un dato livello. A mio parere, l’accuratezza deve essere vista semplicemente in funzione della intellegibilita’. Per un parlante novice sara’ sufficiente dire “mangiare” o anche “manghiare” per comunicare un bisogno, mentre ad un parlante superior per comunicare concetti complessi sara’ invece indispensabile l’uso della consecutio temporum nelle sue sfumature piu’ raffinate. [Un breve excursus per sottolineare come il criterio CONTESTO sia sorprendentemente simmetrico alla teoria della personalita’ della psicanalisi freudiana. I quattro livelli sono paralleli rispettivamente alla fase simbiotica, narcisista, di integrazione dell’io e infine del super-io. In chiave linguistica osserviamo che il parlante novice dipende in modo totale dall’insegnante, non ha minima autonomia e si limita a memorizzare e ripetere quanto apprende. A livello intermediate, il parlante e’ il punto di riferimento unico del discorso, e’ egocentrico e descrive realta’ tangibili osservabili e immediatamente sperimentabili. Le funzioni espletate sono in pratica limitate a quelle della sopravvivenza (adulta). Il parlante advanced e’ in grado di negoziare con il mondo circostante e di svolgere le funzioni necessarie per un’esistenza autonoma, compresa la formazione ed articolazione della memoria e l’anticipazione futura. Chi giunge a livello superior, tende a proiettare attraverso la lingua la propria autoimmagine interna e la propria realta’ psicologica, sia a livello di ideale che di aspirazione. Tende in altre parole, a far si’ che l’ascoltatore si uniformi alla propria visione personale del se’. ] E la grammatica? Dalla lettura degli specchietti riportati qui sopra e della tavola nell’Allegato A, appare evidente che in nessun caso si parla mai di grammatica o di specifici contenuti grammaticali. Tra le domande che mi vengono poste comunemente, le piu’ frequenti hanno a che fare con la presenza o assenza di forme verbali. Tipica domanda: “E’ possibile classificare un parlante come “advanced” se non sa usare il passato prossimo o l’imperfetto?” Risposta: senza dubbio. Tanto che in italiano e’ usatissimo il presente narrativo per descrivere eventi del passato. (“Ieri mattina entro in farmacia, e chi ti trovo? Il Geometra, uscito fresco fresco di galera”). Per non parlare poi del tempo futuro, assente dalla maggior parte dei discorsi (“Domani vado in universita’”) ed usato molto piu’ frequentemente per esprimere ipotesi e illazioni (“Da dove verra’ questo odore?” “Sara’ stata una bomba”?). Cio’ che si osserva e’ la capacita’ di concepire il discorso in dimensioni temporali non tempi verbali. Altro esempio, il congiuntivo. In italiano e’ ormai possibile, anche in numerosi casi di proposizione indipendente, usare l’indicativo invece del congiuntivo, senza trasgredire le famose “regole”. Come nelle frasi concessive, per esempio, dove nel discorso parlato ormai non si sente piu’ “benche’” o “sebbene”, che richiedono l’uso del congiuntivo. La formula piu’ comune e’ “anche se”, cui segue un placido e piano indicativo. Ergo, non e’ importante la modalita’ d’uso delle forme grammaticali: quello che conta e’ la trasmissione di un concetto (quale il caso dell’ipotesi -- intesa come concetto e non come costrutto sintattico-- resa dalle proposizioni concessive). Altre domande ripetono all’ossessione lo stesso tema, cioe’ se l’assenza di una determinata “regola” o forma linguistica condanni il parlante alla retrocessione. E qui gli interlocutori si sbizzariscono in tutta una serie di scenari piu’ o meno plausibili (“E se uno sa perfettamente il congiuntivo e non il condizionale?” “E se uno non sa il plurale di uovo, o lenzuolo, o il superlativo di aspro?”) Tutte queste domande emergono dalla convinzione mai sfidata che chi apprende una lingua la impari casella per casella, capitolo per capitolo, seguendo fedelmente il percorso disegnato dalle grammatiche scolastiche. La realta’ e’ ovviamente molto diversa, e l’osservazione attraverso la lente OPI consente di appurare come in genere l’apprendimento segua uno sviluppo armonico, come di crescita naturale, nel quale la performance avanza su tutto il fronte della comunicazione di pari passo con lo sviluppo cognitivo. E’ rarissimo trovarsi di fronte a casi di “idioti sapienti”, simili ai pazienti affetti da autismo in cui una particolare dote mentale eccelle a dismisura a scapito di tutte le altre. Uno degli aspetti piu’ affascinanti del lavoro di osservazione di OPI e’ la scoperta che esiste una relazione diretta tra competenza linguistica e sviluppo cognitivo e e intellettuale in quella lingua. In altre parole, una verifica della Whorfian Hypothesis (dal suo teorizzatore, il linguista Benjamin Lee Whorf, 1897-1941), nella sua versione meno estrema nota anche come “determinismo debole”, secondo cui e’ la lingua a consentire il pensiero, mentre non esiste pensiero al di fuori della capacita’ linguistica di esprimerlo. Cio’ si osserva empiricamente nei parlanti che si sottopongono all’esame OPI che sono letteralmente incapaci di concepire pensieri di complessita’ superiore a quanto consentito dai mezzi espressivi di cui sono in possesso. Solo con la progressiva acquisizione di piu’ vasti mezzi linguistici (e quindi la collocazione ad un livello piu’ elevato nella scala ACTFL) e’ possibile la formulazione di pensieri di corrispondente complessita’. TECNICA E PROCEDURA DI VALUTAZIONE Tra i numerosi vantaggi della Oral Proficiency Interview vi e’ la sua totale indipendenza dai curriculi. In altre parole, non fa assolutamente nessuna differenza dove e come uno studente abbia imparato la lingua, se all’universita, facendo il lavapiatti in un ristorante, alla scuola del dopolavoro o navigando online. Da questo presupposto ne discende automaticamente un’altro: non e’ possibile “prepararsi” a questo tipo di esame, ne’ e’ possibile cercare di anticipare “le domande” (“che cosa ti ha chiesto”?). Non esistono campi semantici prestabiliti, ne’ aspetti (“feature”) linguistico-grammaticali specifici di cui e’ richiesta la competenza. Se cosi’ non fosse si ricadrebbe nella versione orale degli achievement test, con l’aggiunta dell’impressionismo della valutazione. Dalla parte dell’esaminato Il secondo punto cruciale dell’OPI, che riflette integralmente la filosofia pedagogica anglosassone dominante, e’ che l’esaminatore e’ dalla parte dell’esaminato e vuole dargli la possibilita’ di esprimersi al meglio delle sue possibilita’. In un certo senso “fa il tifo” per lo studente e cerchera’ in tutti i modi di permettergli di produrre la miglior performance di cui e’ capace. Per soddisfare tale requisito e’ necessaria la scrupolosa applicazione della procedura del colloquio (“interview”). Le varie fasi sono elencate di seguito. PROCEDURA Riscaldamento (warm up) Stabilire la base (floor) Verificare il livello (level check) Domande sonda (probes) Stabilire il tetto (ceiling) Situazioni (verifica/sonda) Verifica di livello Congedo (winding down) TECNICA Spirale “Stecca” (breakdown) Procedura e Tecnica Descrivere una OPI e’ tanto difficile quanto raccontare a chi non l’ha vista una partita di calcio, azione per azione. E per un esaminatore pianificare una OPI e’ equivalente a inventarsi gli schemi per una partita di calcio. Gli schemi reggono fino ad un certo punto: quello che conta e’ l’abilita’ nell’eseguirli. Poiche’ OPI e’ un colloquio, e’ impossibile prevedere gli argomenti che affioreranno. Come detto in precedenza, non vi sono campi semantici o specifici “programmi” o punti grammaticali da esaminare. Vale solo quello che lo studente sa fare. Lo studente dal canto suo sa che e’ nel suo interesse rispondere al meglio delle sue possibilita’. E soprattutto sa che non deve avere “paura di sbagliare” in quanto gli errori semplicemente non contano. Le fasi Il riscaldamento consiste sostanzialmente nelle presentazioni (come ti chiami, dove abiti, quanti anni hai). Dal tipo di risposta ricevuta, se l’esaminato si esprime a monosillabi, parole o frasi, o se per esempio prende l’iniziativa di fare le stesse domande all’esaminatore, come in una normalissima conversazione, l’esaminatore e’ in grado di formulare una primissima ipotesi sul livello minimo di competenza. Se si trova di fronte ad un “elementare”, nel proseguio si adeguera’ alla situazione limitandosi a chiedere elenchi, quali i giorni della settimana, il nome e i colori di vari oggetti nella stanza e simile materiale memorizzato che non richiede elaborazione. Se invece lo studente e’ chiaramente a livello piu’ elevato, l’esaminatore iniziera’ con una serie di domande centrate sullo studente: dove abiti, con chi abiti, descrivi la tua casa, la tua stanza, il tuo quartiere, la tua citta’ (non tutte le domande, ovviamente); famiglia; tempo libero; interessi etc. Questi argomenti sono tipici del discorso del parlante intermedio (vedi GLOBAL FUNCTIONS nell’Allegato A). Dall’osservazione del tipo di discorso (TEXT, Allegato A), se frase discreta o discorso connesso, l’esaminatore avra’ gia’ un’idea della base cioe’ il livello sostenibile di performance. E’ importante verificare la competenza in piu’ di un argomento per assicurarsi che essa sia presente ed ugualmente distibuita nei vari contesti previsti. Una volta fatto cio’ si tratta di verificare se lo studente e’ in grado di esprimersi ad un livello piu’ elevato. Le “domande-sonda” sono volte ad esplorare il livello immediatamente superiore rispetto alla base appena identificata. Per attivare tali domande si fa ricorso alla tecnica della spirale, che consiste nell’ampliare e approfondire uno stesso argomento. Se il livello da sondare e’ “avanzato”, si parte da “intermedio” e si complicano i compiti. Parlando di studio, la sequenza puo’ essere: [(intermedio) in quale universita’ studi? ] [(avanzato) raccontami il tuo primo giorno all’universita’] [(avanzato) per quale motivo hai scelto questa universita’?] [(avanzato) e’ stata una scelta facile? Perche’?]. L’obbiettivo dell’esaminatore e’ di arrivare ad osservare il “breakdown”, tradotto con licenza come “la stecca”, cioe’ il punto di rottura dove e’ chiaro che l’esaminato non e’ in grado di esprimersi al livello richiesto. La stecca si puo’ verificare in diversi modi: un parlante disinvolto sara’ in grado di rispondere ma la sua lingua continuera’ a mostrare tutti gli aspetti del livello inferiore. Un parlante meno sciolto a volte arriva semplicemente a non essere in grado di rispondere alla domanda, pur avendo tale competenza nella propria lingua nativa. Per esempio, alla domanda “per quale motivo hai scelto questa universita’”, il un esaminato disinvolto potrebbe rispondere con una o piu’ delle seguenti frasi discrete: “e’ bella, e’ importante, e’ famosa, e’ vicina a casa, ci sono molti professori bravi, i miei amici studiano qui” eccetera. Il secondo esaminato, piu’ impacciato, potrebbe bloccarsi, incapace di produrre una risposta adeguata al livello del compito richiesto. In ambedue i casi l’esaminatore osserva il punto di rottura, e conferma che il parlante appartiene al livello inferiore. La procedura richiede a questo punto che l’eaminatore “scenda” immediatamente di livello per evitare di mettere a disagio l’esaminato, eventualmente cambiando discorso e riprendendo un argomento toccato prima ([intermedio] “mi hai detto che lavori part-time: dove lavori, quante ore la settimana, quante persone lavorano con te). Da qui puo’ riprendere una seconda spirale: [(avanzato) raccontami che cosa fai al lavoro], [(avanzato) raccontami come l’hai trovato], [(avanzato) continuerai anche dopo la laurea?]. E’ importante procedere a una serie di spirali su argomenti diversi, per due motivi: per dare l’opporunita’ allo studente di esprimersi al livello immediatamente piu’ elevato, ed in secondo luogo per confermare ulteriormente le osservazioni. Come conferma di livello e anche sonda, spesso si usano situazioni in cui l’esaminato e l’esaminatore recitano ruoli assegnati. A questo fine l’esaminatore ha con se’ una serie di foglietti sui quali descrive nella lingua nativa ---non nella lingua del test-- la situazione da recitare. Introduce la situazione dicendo pressapoco: “Adesso facciamo un gioco”. Consegna il foglietto all’esaminato e gli chiede di leggerlo ad alta voce. Poi si assicura che abbia capito esattamente il compito. Per esempio: l’esaminato deve acquistare un biglietto ferroviario di prima classe con cuccetta, deve informarsi sull’orario di partenza e di arrivo, fare prenotazioni per adulti e bambini, chiedere il prezzo e simili compiti. L’esaminatore sara’ il bigliettaio. Se il risultato e’ impreciso o non raggiunge lo scopo, e’ consigliabile ripetere a ruoli invertiti. Altra situazione: lo studente ha preso in presto l’automobile di un amico (impersonato dall’esaminatore) ed ha avuto un piccolo incidente. Ora deve telefonare all’amico e spiegare l’accaduto. Vi sono situazioni standard, elaborate in precedenza da ACTFL, ma naturalmente qualsiasi esaminatore e’ libero di scegliere e creare le situazioni che gli sembrano piu’ indicate e linguisticamente produttive. La fase finale del colloquio e’ il congedo, che in genere consiste in alcune altre domande inoffensive e non probatorie per indicare e suggerire all’esaminato che ci si avvicina alla conclusione. La mia domanda di rito e’: “e adesso che cosa farai dopo questo colloquio?” In tale modo si giunge ad una conclusione naturale della conversazione-esame. L’intero colloquio dura da un minimo di 10 minuti, nel caso di un “elementare” dalla competenza estremamente limitata, ad un massimo di 25-30 minuti per un “superiore”. In genere la media si attesta attorno ai 20 minuti. Il colloquio va registrato su cassetta e riascoltato per avere un’idea il piu’ neutrale possibile. Qui l’esaminatore osservera’ per prima cosa la propria performance, per determinare se ha veramente messo in grado l’esaminato di esprimersi al meglio. Un esaminatore che non offra domande-sonda, o che di fronte a indizi di livello piu’ elevato si mantenga ad un livello inferiore, ha fallito miseramente nel proprio compito. In questo caso per colpa propria avra’ estratto dall’esaminato un campione non-valutabile. Il successo dell’esaminato infatti dipende moltissimo proprio dall’abilita’ dell’esaminatore. Per questo motivo e’ fondamentale divenire esperti nella tecnica di “elicitation”, cioe’ lo stimolo costituito dalle domande piu’ produttive. Contrariamente a quanto puo’ apparire dall’esterno, condurre un OPI e’ tutt’altro che semplice. L’esaminatore deve evitare i toni inquisitivi, deve saper divincolarsi in situazioni di stallo senza frustrare l’esaminato, e deve cercare di ottenere un flusso naturale come in una vera conversazione spontanea. E’ cruciale “sentire” un vero e proprio interesse per quanto lo studente dice, per le sue risposte che rivelano parte di se’ della sua vita e delle sue opinioni. Cioe’ deve partecipare in forma attiva. Nel contempo deve svolgere tre compiti simultanei: ascoltare la risposta, valutare il livello della risposta e preparare la prossima domanda secondo la strategia della spirale. L’aspetto valutazione e’ tutto sommato il piu’ semplice: a condizione che il campione di discorso sia affidabile, non sara’ molto difficile stabilire il livello di competenza del parlante. Certificazione ACTFL Per apprendere la tecnica di OPI e’ necessaria la partecipazione a workshop specialistici (limite massimo 10 iscritti) della durata di circa quattro giorni. Con l’eccezione di un’ora circa di “lezione” al giorno per chiarire specifici aspetti della complessa struttura, ciascun partecipante a turno conduce colloqui con volontari (studenti della lingua in questione). Gli altri partecipanti assistono senza intervenire, cosi’ come il conduttore del workshop. Alla fine di ciascun colloquio, il gruppo esamina e valuta soprattutto la performance dell’esaminatore, per metterne in evidenza gli eventuali errori e sottolineare gli aspetti positivi. In particolare si presta attenzione alla tecnica di “elicitation”. L’esito piu’ comune del primo OPI e’ un campione di discorso non valutabile. Un po’ come a scuola guida, la prima volta che si innesta la marcia e si lascia la frizione, il risultato e’ un saltone e il motore che si spegne. Lentamente, con altre prove, ci si impadronisce del meccanismo e si fanno rapidi progressi. Alla conclusione del workshop, per ottenere la certificazione come esaminatore (tester) i candidati devono sottoporsi ad una OPI nella quale devono conseguire il livello di SUPERIORE. Questo, perche’ ovviamente non e’ possibile valutare parlanti di livello superior se non si e’ allo stesso livello. A questo punto il candidato deve condurre in proprio una dozzina di OPI con soggetti di propria scelta, registrare i colloqui su cassetta (per questo motivo e’ necessario fare leggere allo studente il testo della situazione ad alta voce), assegnare “il voto” e spedire le cassette al trainer, il quale riascoltera’ i colloqui uno per uno, dara’ il proprio giudizio sulla tecnica di “elicitation” per ciascun colloquio e soprattutto dovra’ a propria volta assegnare “il voto” allo studente esaminato, ignaro della valutazione data dal candidato. Se i giudizi del canditato coincidono con quelli del trainer, il candidato dovra’ sottoporre una seconda serie di colloqui registrati per un’ulteriore verifica. A questo punto gli verra’ riconosciuta la certificazione ufficiale di Tester. Negli Stati Uniti OPI e’ estremamente diffuso ed e’ impiegato in vari stati per determinare la competenza linguistica degli insegnanti liceali di lingua. Il livello minimo di competenza orale deve essere almeno AVANZATO. Oltre alle scuole pubbliche, numerosissime scuole private richiedono simili livelli di competenza. Un livello di proficiency advanced e’ anche il requisito per l’ammissione a programmi post laurea in Business Administration delle piu’ importanti universita’ americane. Simili requisiti anche presso le facolta di magistero di un numero sempre crescente di universita’, nelle quali tra l’altro il training OPI fa parte del curriculum accademico. Conclusione OPI e’ un vero e proprio strumento sovversivo che si distingue dall’arsenale abbondantemente sviluppato del testing. In virtu’ del paradosso didattico di cui si e’ parlato in precedenza, la sua adozione ha come conseguenza il ripensamento globale dei curriculi. Non solo: le esperienze di migliaia di docenti di lingua dimostrano che, anche quando OPI non viene adottato come sistema di valutazione, la conoscenza di questo strumento contribuisce enormemente ad un cambiamento di atteggiamento nei confronti dell’insegnamento glottodidattico. Chiunque abbia partecipato ai workshop OPI e’ in grado di osservare i comportamenti linguistici da una prospettiva diversa che si pone come complemento, non necessariamente come alternativa, ai metodi tradizionali di determinazione delle competenze linguistiche. If the Reader meaneth to learne our tongue within a short space, he must not entangle himselfe at the firste brunte with the rule of the pronunciation set (for a purpose) at the latter ende of this booke, but take in hande these DIALOGUES: and se the occasion requireth, he shall examine the rules, applying their use unto his purpose. There bee some holgind this opinion, that the most expedient & certaine way to attaine to the knowledge of tongues is to learne without any observation of rules: But cleane contrary I doe think that he which is instructed in any tongue what so ever by only roate, is like unto the Byrd in a cage, him and (which is much worse) not understanding that which he sayth, because he is voyde of all fundation of good and certaine doctrine… Recentemente un mio conoscente, funzionario di alto livello della Regione Lombardia, ha finalmente avuto accesso ad un corso di formazione per l’uso dei computer. Il corso iniziava dal sistema operativo DOS 3.0, che risale al 1988. Che e’ come dire che per imparare l’italiano uno dovrebbe cominciare dai caratteri cuneiformi dei Sumeri. Di fronte alle rimostranze dei partecipanti, l’ente organizzatore ha risposto: “Sì, è un sistema antiquato, ma è formativo”. Bonacci:Roma 1994 Heidi Byrnes, Irene Thompson, Kathryn Buck: The ACTFL Oral Proficiency Interview Tester Training Manual. ACTFL, Yonkers (NY):1992. The ACTFL Oral Proficiency Interview (OPI) is a standardized procedure for the global assessment of fuctional speaking ability, or oral proficiency. Is is a standardized instrument since, to assure reliability in assessing different speech samples, a prescribed procedure must be observed. The Oral Proficiency Interview is an integrative test, i.e., it addresses a number of abilities simultaneously and looks at them from a global perspective rather than from the point of view of the presence of absence of any given linguistic feature. Linguistic components are viewed from the wide perspective of their contribution to overall speaking performance. In evaluating a speech sample, the following criteria are considered: the functions or global tasks, the interviewee performs, the social contexts and specific content areas in which the interviewee is able to perform, the accuracy or precision with which these tasks are accomplished, and the type of oral text or discourse the inteviewee is capable of producing. 'He gave man speech, and speech created thought, Which is the measure of the universe' - Prometheus Unbound, Shelley

ALLEGATO

BIBLIOGRAFIA